2. Il socialismo chiliastico
e l'ideologia dei movimenti ereticali
In quanto abbiamo finora esposto non ci siamo limitati a scegliere tra le fonti sui movimenti ereticali del Medioevo e dell'epoca della Riforma soltanto quei brani che parlano delle idee socialiste, della comunione dei beni, della distruzione della famiglia, eccetera. Al contrario abbiamo cercato di fornire una rassegna il più possibile completa, anche se necessariamente schematica, di tutti gli aspetti delle dottrine eretiche. Ora ci sembra importante individuare i legami tra questi due fenomeni, e chiarire il posto occupato dalle idee del socialismo chiliastico nell'ideologia dei movimenti ereticali.
Per fare questo è innanzi tutto necessario stabilire se si possa o meno parlare di una visione del mondo univoca all'interno delle varie eresie, se esistano sufficienti tratti comuni nel caos delle eresie sviluppatesi nel corso di almeno settecento anni.
In altre parole affrontiamo il problema dell'interdipendenza tra le varie eresie.
A partire dalla seconda metà del secolo scorso questo problema è stato al centro di innumerevoli ricerche, che non solo hanno dimostrato l'esistenza di stretti legami fra le varie sette, ma hanno pure "arretrato" nel passato la genesi delle eresie, chiarendo che esiste un legame genetico ininterrotto fra le eresie medievali e quelle dei primi secoli del cristianesimo.
Molto schematicamente si potrebbero dividere le eresie medievali in tre gruppi:
1. le eresie manichee - catari, albigesi e petrobrusiani (dall'XI al XIV secolo);
2. le eresie panteiste - amalriciani, ortlibiani, fratelli del libero spirito adamiti, fratelli apostolici e gruppi di begardi e beghine - (dal XIII al XV sec.);
3. le eresie vicine al protestantesimo ma sviluppatesi ben prima della Riforma, come valdesi, anabattisti, fratelli boemi (dal XII al XVII sec.).
La maggior parte di queste dottrine si radica nelle eresie gnostiche e manichee che a partire dal II secolo d.C. si diffusero in tutto l'Impero romano e oltre i suoi confini, ad esempio in Persia.
Le eresie di tipo manicheo penetrarono nell'Europa occidentale per lo più dall'Oriente. Concezioni molto simili, come il dualismo, la concezione che fa coincidere l'Antico Testamento con il dio del male, la divisione fra una ristretta cerchia esoterica e una essoterica più vasta, s'incontrano nelle sette gnostiche del II sec., come ad esempio i marcioniti. Tuttavia è nel manicheismo che queste idee presero la loro espressione più piena.
Anello intermedio tra le eresie gnostiche e le sette medievali furono i pauliciani, apparsi nel IV-V sec. nella parte orientale dell'Impero. Essi professavano un netto dualismo e consideravano il peccato originale come un gesto d'eroismo spirituale; il rifiuto di obbedire al dio del male. Da qui l'assenza di qualsiasi legge morale, l'assoluta uguaglianza tra bene e male, ciò che si manifestava negli eccessi in campo sessuale di cui narrano i contemporanei (un capo dei pauliciani, Baan, fu per questo soprannominato "il sozzo"), e nei saccheggi.
Nel IX sec. i pauliciani s'impadronirono di una regione dell'Asia Minore, da dove facevano partire delle incursioni sulle città vicine, le saccheggiavano e vendevano gli abitanti come schiavi ai saraceni. Nell'857 misero a sacco Efeso, trasformando in stalla la chiesa di san Giovanni. Sconfitti nel X sec. dall'esercito dell'imperatore bizantino, i pauliciani furono trasferiti in massa in Bulgaria, dove vennero in contatto con i bogomili, a loro volta derivati dalla setta dei messaliani, nati nel IV sec. La dottrina dei bogomili era vicina a quella dei catari monarchiani, credevano cioè che il mondo materiale fosse stato creato dal figlio maggiore di Dio decaduto, Satanaele. Pauliciani e bogomili rifiutavano il battesimo dei bambini, aborrivano e distruggevano le chiese, le immagini sacre e le croci.
Dalle regioni orientali dell'Impero le dottrine pauliciana e bogomila s'infiltrarono nell'Europa occidentale (212).
Anche le dottrine di tipo panteista hanno all'origine l'eresia gnostica. Lo scrittore cristiano del V sec. Epifanio descrive alcune sette straordinariamente simili agli adamiti medievali. Egli stesso aveva un tempo fatto parte di uno di questi gruppi (fiboniti o barbelognostici). Cent'anni più tardi Ippolito ci dà notizia dell'analoga dottrina della setta dei simoniani. In entrambi i casi si praticavano messe nere, con ostentate violazioni delle norme morali, allo scopo di dimostrare il carattere sovrumano dei "detentori della gnosi" (213).
Innumerevoli fatti dimostrano l'esistenza di multiformi legami tra le dottrine delle varie sette. In particolare abbiamo già ricordato che il concetto di "divinità" proprio degli "spiriti liberi" rappresentava lo sviluppo della peculiare nozione di "perfetto" dei catari. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la setta "del libero spirito" derivi realmente dai catari. A questo proposito è interessante l'opinione di J. van Mierlo, che fa discendere beginus e begina (i begardi e le beghine formavano l'ambito fondamentale in cui i "liberi spiriti" reclutavano i loro seguaci), da albigensis (214).
D'altro canto, è indubbia l'influenza dei "liberi spiriti" sui valdesi, e soprattutto su una ristretta cerchia di capi e apostoli della setta che, secondo quanto credevano, ricevevano il potere dagli angeli e andavano automaticamente in paradiso a contemplare Dio. La vicinanza delle due sette è dimostrata dal caso di Nicola di Basilea, che alcuni storici degni di fede ascrivono ai "liberi spiriti", mentre altri ai valdesi.
Un altro anello di collegamento fra catari e valdesi è la setta dei petrobrusiani, che studiosi come Dollinger e Runciman considerano un ramo collaterale dei catari, mentre altri li considerano predecessori dei valdesi. Infine ci sono molte prove che dimostrano che valdesi e anabattisti sono due nomi che si danno allo stesso movimento in due diversi periodi. Ludwig Keller in molte opere ha cercato di determinare i legami tra valdesi e anabattisti, raccogliendo un'imponente massa di argomentazioni per dimostrare l'identità fra le due sette (215).
L'impressione di diversità è provocata soprattutto molteplicità delle denominazioni, ma questa non può essere ritenuta una prova della loro eterogeneità. Per lo più si trattava di denominazioni attribuite dall'esterno, dai nemici, forgiate in genere sul nome del predicatore che era a capo della setta (petrobrusiani da Pietro di Bruys, enriciani da Enrico, valdesi da Valdo, ortlibiani da Hartlib, e poi luterani da Lutero). Invece i membri delle sette si chiamavano tra di loro "fratelli", o "uomini di Dio", o "amici di Dio", (questo soprattutto tra i valdesi e gli anabattisti in Germania fino al XVI sec.), Gottesfreunde non è altro che la traduzione letterale della parola "bogomili".
Una caratteristica sorprendentemente costante in quasi tutti i gruppi eretici era il rifiuto del battesimo dei bambini e in conseguenza di questo l'introduzione di un secondo battesimo per gli adulti. Nel codice di Giustiniano vi sono degli articoli diretti contro gli eretici che predicavano il secondo battesimo. Questa pratica è nominata più volte nei protocolli dell'Inquisizione e nei libelli contro catari e valdesi, ha dato il nome agli anabattisti e si è conservata fino ai nostri giorni presso i battisti.
Ma erano le sette stesse a sostenere con insistenza la loro origine antica: che facevano risalire ai discepoli degli apostoli che non si erano sottomessi a Papa Silvestro e non avevano accettato la donazione di Costantino. Così nei protocolli dell'Inquisizione di Tolosa leggiamo la deposizione di un tessitore valdese che sostiene questa versione antica già allora, nel 1311 (216). Secondo la tradizione valdese non fu Valdo il fondatore della loro chiesa; parlando di Pietro di Bruys, vissuto nella prima metà del XII secolo, lo chiamavano "uno dei nostri" (Valdo aveva predicato nella seconda metà di quel secolo) [217].
Lo stesso punto di vista è condiviso da altre sette. ad esempio i libri dei martiri anabattisti, venerati dai mennoniti ancora nel XVII secolo, iniziavano con il racconto delle persecuzioni contro i valdesi, avvenute alcuni secoli prima della Riforma (218).
Naturalmente anche gli oppositori delle eresie, gli accusatori e gli inquisitori, più e più volte sottolinearono l'unità di fondo di tutto il movimento ereticale. San Bernardo di Chiaravalle, che conosceva a menadito le eresie del suo tempo, disse che la dottrina catara non dice niente di nuovo e non fa che ripetere gli insegnamenti delle eresie più antiche. Nelle opere dell'inquisitore romano noto sotto il nome di "pseudo-Ranieri" (1250) si legge: "Fra le sette non c'è niente di più pericoloso per la Chiesa dei leonisti, per tre motivi. Il primo è che sono la setta più antica; certi dicono che siano nati ai tempi di Papa Silvestro, altri al tempo degli apostoli. E poi non c'è paese dove non se ne incontrino" (219).
Nel 1560 Dollinger scriveva degli anabattisti: "Molti dei loro errori più gravi e fondamentali sono gli stessi delle sette antiche, come i novaziani, i catari, i seguaci di Aussenzio e di Pelagio" (220).
Il cardinale Osio, che nel XVI secolo combatteva gli eretici, scrisse: "Ancora più nociva è la setta degli anabattisti, alla cui specie appartenevano anche i fratelli valdesi che fino a poco tempo fa praticavano ancora il secondo battesimo. E non è nata ieri o ier l'altro questa eresia, ma esiste dai tempi di Agostino" (221).
Nella Breve storia fondamentale della rivolta di Munster (1589) fra le varie denominazioni degli anabattisti si citano quelle di "catari" e "fratelli apostolici" (222) Nella Cronaca di Sebastiano Frank (1531) si parla di legami tra fratelli boemi, valdesi e anabattisti: "I valdesi che provenivano dalla Piccardia formarono in Boemia una setta, o popolo di Dio, particolare [...]. Si suddividevano in due o tre gruppi: uno grande, uno medio, uno piccolo. Sono in tutto e per tutto uguali agli anabattisti (...) Saranno circa ottantamila" (223).
Di simili testimonianze se ne potrebbero portare a migliaia. Presupporre l'esistenza di un movimento ereticale che conglobasse le antiche tradizioni e avesse allo stesso tempo una considerevole unità organizzativa servirebbe anche a spiegare il miracolo della Riforma, che nel volgere di pochi anni fece nascere in tutta l'Europa, come da sotto terra, un'organizzazione, dei capi, dei predicatori. L'esistenza di legami fra i capi della Riforma e il movimento delle sette è perfettamente verosimile, specialmente nei primi tempi. Lo sostenevano i nemici della Riforma. Ad esempio durante la disputa alla Dieta di Worms, il nunzio papale rimproverò a Lutero: "La maggior parte dei tuoi insegnamenti non sono altro che le vecchie eresie ormai rigettate, come quelle dei begardi, dei valdesi, dei poveri di Lione, dei seguaci di Wycliff e di Hus" (224).
Ma anche gli stessi capi della Riforma non negarono questi legami. Nella lettera Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca (An den christlichen Adel deutscher Nation, 1520), Lutero dice: "E' ormai molto che è venuta l'ora di affrontare sul serio e con onestà il problema dei fratelli di Boemia, in modo da unirci, loro con noi e noi con loro" (225).
E Zwingli scrive a Lutero nel 1527: "Molta gente capiva anche prima la sostanza della religione evangelica almeno quanto te. Ma nessuno in tutto Israele ha osato impegnare battaglia, perché tenevano questo potente Golia" (226).
Molto probabilmente Zwingli faceva parte della comunità dei "fratelli" di Zurigo, con la quale ruppe verso il 1524.
Anche Lutero, a quanto pare, ebbe a che fare con quest'ambiente. La prima spinta verso la rottura con la Chiesa cattolica fu data a Lutero, che allora era ancora un giovane monaco sconosciuto, dal vicario generale degli agostiniani Johann Staupitz. Questi, durante uno dei suoi giri d'ispezione, fermò la sua attenzione su Lutero. Staupitz infatti era tenuto in grande considerazione nell'ambiente dei "fratelli"; in uno scritto del tempo, ad esempio, si esprimeva la speranza che fosse proprio lui l'uomo destinato a "condurre il Nuovo Israele dalla schiavitù d'Egitto", e cioè a salvare la comunità dei "fratelli" dalle persecuzioni. Per un certo periodo l'influenza di Staupitz fu straordinaria, Lutero disse che fu lui "il primo ad accendere la luce del Vangelo nel suo cuore", e ad "aizzarlo contro il Papa". Scrisse a Staupitz: "Mi lasci troppo spesso. A causa tua mi sono sentito come un bambino abbandonato che cerca la madre. Ti scongiuro di benedire l'opera del Signore anche in me peccatore" (227). Solo a partire dal 1522 nacquero fra loro alcune divisioni che sfociarono, tra il 1524 e il 1525, nella rottura completa.
Siamo, così, venuti a comporre il quadro sorprendente di un movimento durato millecinquecento anni nonostante le persecuzioni della Chiesa dominante e delle autorità laiche (228).
Un complesso di concezioni religiose molto ben fissato, che regolava la vita di tutti gli appartenenti alla setta, si è conservato immutato fin nei minimi particolari. Per tutto questo tempo non decadde mai la tradizione d'investire segretamente i vescovi, di risolvere i problemi comuni del movimento in "sinodi", dì mandare degli apostoli itineranti a diffondere le decisioni presso le comunità separate. All'entrata nella setta veniva impartito un nuovo nome, noto ai soli iniziati. Esistevano segnali segreti (ad esempio nello stringersi la mano), dai quali i "fratelli" si potevano riconoscere. Anche le loro case erano distinte da segni speciali; durante i viaggi si potevano fermare da gente amica, e nelle sette ci si vantava di poter viaggiare dall'Inghilterra a Roma sempre pernottando presso confratelli. Esisteva una forte coesione tra le ramificazioni nazionali del movimento, ai "sinodi" partecipavano rappresentanti di tutta l'Europa occidentale e centrale, i libri si trasmettevano di paese in paese, esisteva un fondo comune d'aiuto finanziario, e nei momenti di crisi i correligionari degli altri paesi accorrevano in aiuto dei fratelli nella fede.
Tutti questi elementi ci permettono di individuare la base ideale comune a tutto il movimento, in modo da chiarire poi il posto occupato in queste dottrine dal socialismo chiliastico. Uno degli elementi fondamentali. comune a tutte le sette nel corso di tutta la loro storia, fu sempre l'ostilità verso il potere secolare, il "mondo", e specialmente verso la Chiesa cattolica. Questa ostilità poteva essere attiva o passiva, incitare insomma a "sterminare gli empi", a uccidere il Papa, a distruggere la Chiesa "Babilonia meretrice", o semplicemente proibire ogni contatto con il mondo, rifiutare ogni giuramento, acquisto o vendita, e in genere ogni partecipazione alla vita comune.
Fu proprio questo a provocare la rottura fra i capi della Riforma Lutero e Zwingli e i "fratelli". Così nella Cronaca degli anabattisti per l'anno 1525 sta scritto: "La Chiesa ormai da tempo oppressa ha incominciato a risollevare la testa [...]. Lutero, Zwingli e i loro seguaci hanno distrutto tutto come l'abbattersi di un fulmine, ma non hanno creato niente di meglio [...]. Hanno sì dischiuso una luce, ma non l'hanno seguita fino in fondo e si sono associati al potere mondano. Perciò anche se l'inizio era buono, per volontà divina la luce della verità si è di nuovo spenta in loro" (229).
Il movimento ereticale, sordamente ostile a tutto l'ordinamento del mondo circostante, esplodeva di tanto in tanto quando montava in superficie l'odio distruttivo che continuava a covare nel profondo. Queste crisi avvenivano solitamente a intervalli di circa un secolo, così abbiamo Dolcino nel 1300, gli hussiti dopo il rogo di Hus nel 1415, gli anabattisti all'epoca della Riforma, aggressivi soprattutto a partire dal 1520, e la rivoluzione inglese degli anni 1640-1660.
In questi periodi ritornavano in luce particolarmente le idee socialiste, mentre negli altri momenti queste tendenze erano molto più attenuate, fino a trovare sette che negavano la violenza, e dottrine senza alcuna ispirazione socialista. Da questo punto di vista l'esempio dei valdesi è il più significativo. Tuttavia si può osservare che le due ali opposte di questo movimento erano strettamente intrecciate, al punto da non potersi distinguere; a volte una particolare idea si trasmetteva d'un colpo da un'estremità all'altra del movimento.
Così i catari, che sappiamo essere stati contrari a ogni violenza, improvvisamente nel 1174 a Firenze cercarono di fomentare una rivolta. Per loro era peccato il solo contatto con un'arma, anche per legittima difesa, eppure esistevano dei gruppi (come i rotari, i catarelli e i ruitari) che ammettevano il saccheggio e l'espropriazione dei beni ecclesiastici. Alcuni studiosi ritengono che alcuni fatti particolari siano spiegabili proprio con questo brusco passaggio delle sette più pacifiche sotto l'influenza di quelle più aggressive. Fra i catari, ad esempio, era proibito persino uccidere gli animali, eppure negli anni precedenti le crociate contro gli albigesi, si scatenò d'un tratto il loro spirito bellicoso, che li sostenne poi durante i trent'anni della guerra.
Dal canto loro i valdesi, considerati come una delle sette più "pacifiche", in alcuni periodi presero a bruciare le case dei preti che li osteggiavano, e ad uccidere e mettere taglie su coloro che abiuravano. Questa frattura è poi evidentissima nella setta dei "fratelli apostolici". Questi osservavano fra l'altro anche il precetto della non violenza, qualsiasi omicidio era peccato mortale. Ma ben presto questo stesso principio subì una trasformazione, fu la persecuzione della setta a diventare peccato mortale, con la postilla che era ammesso qualsiasi atto contro i nemici della vera fede, anzi si incitava a distruggere gli empi (230). Stessa evoluzione subirono gli anabattisti in Svizzera e nella Germania meridionale agli inizi della Riforma. Le sette potevano in sostanza essere "pacifiche" o "bellicose", e il passaggio dalla prima condizione alla seconda avveniva ex abrupto, quasi istantaneamente.
Quest'odio verso la Chiesa cattolica, e verso il sistema di vita che essa aveva instaurato, dimostra che la visione eretica del mondo era in netta antitesi all'ideologia del cattolicesimo medievale. Il Medioevo occidentale fu un grandioso tentativo da parte dell'uomo di edificare la vita sulla base di valori spirituali superiori, fondato sul riconoscimento del fatto che essa era il cammino teso al raggiungimento di certi ideali propugnati dal cristianesimo. Si parlava di trasformare la società umana e il mondo per arrivare a una sorta di stadio superiore, alla loro trasfigurazione. Il fondamento religioso di questa visione era il mistero dell'Incarnazione di Cristo, che aveva illuminato il mondo materiale nell'unione di divino e umano, e aveva così indicato la strada all'attività dell'uomo.
In effetti il governo reale si trovava nelle mani della Chiesa cattolica e si poggiava sul concetto di Chiesa come unione mistica dei credenti, che comprende vivi e morti. Anche le orazioni per i morti e le preghiere ai santi erano espressioni differenti di questa unione fra i membri dell'unica Chiesa.
Gli scopi che si erano prefissi i popoli dell'Occidente non erano però stati raggiunti; e come sempre accade in eventi di questa portata, la causa principale fu interiore, conseguenza di una libera scelta che, riferendosi alla Chiesa cattolica, viene naturale chiamare peccato. Di questo si è già molto parlato, noi ci limiteremo a ricordare l'opinione più diffusa secondo la quale l'errore fatale della Chiesa fu quello di aver scelto strumenti mondani per conseguire un fine cristiano: il potere, la ricchezza, l'autorità esteriore coercitiva. Ma non bisogna nemmeno dimenticare che questa scelta avvenne in un'atmosfera di lotta incessante contro forze ostili alla Chiesa cattolica la cui presenza fu la causa esteriore, sia pure non fondamentale, ma certamente molto concreta dell'insuccesso. Non ultime fra queste forze furono le sette eretiche. La loro attività si iscrive in quella fascia di confine, dov'è così difficile distinguere la libertà della ricerca, che è di ogni verità spirituale, e la congiura vera e propria, volta a sviare forzatamente l'umanità dal cammino che si è scelta. Abbiamo già veduto come dottrine mistiche astratte venivano concretizzate dalla generazione successiva nella distruzione di chiese e croci, e nella predicazione dello sterminio di preti e monaci. Il popolo rispondeva a questa predicazione con esplosioni di violenza contro gli eretici stessi. Dapprincipio questi eccessi venivano condannati dalla Chiesa ma poi, a causa del reciproco inasprimento, la paura dinanzi al dilagare delle eresie, e soprattutto il fascino del potere secolare cui la Chiesa non seppe sottrarsi, portarono alle crociate contro gli eretici e all'Inquisizione. In questo modo il cammino della società medievale si fece tortuoso e si oscurò l'ideale che essa si era posta dinanzi.
Senza dubbio il Medioevo con i suoi lati oscuri non fornì motivi di scontentezza e di protesta più profondi di qualsiasi altro periodo storico. Ma anche se la stigmatizzazione della società e della Chiesa del tempo ebbe un ruolo fondamentale nella predicazione delle eresie, queste, tuttavia, non si possono considerare come una semplice reazione contro l'ingiustizia e l'imperfezione della vita. Almeno le eresie di cui noi abbiamo parlato non miravano al miglioramento della Chiesa e della vita secolare; gli anabattisti, per esempio, non aderirono alla Riforma protestante né al forte movimento della Riforma cattolica. Le dottrine di queste sette predicavano la completa distruzione della Chiesa cattolica e della società contemporanea, e, fino al momento in cui fosse diventata reale una simile eventualità, predicavano l'allontanamento dal mondo, l'ostile indifferenza verso di esso.
Le eresie si indirizzavano proprio contro le idee fondamentali della visione medievale brevemente ricordate sopra. Le loro dottrine non sono di per sé che la diretta negazione di quelle posizioni, solo incidentalmente rivestita di una forma mistica. Quanto dicevano i catari sul mondo creato dal dio del male o da uno spirito decaduto tendeva a minare la convinzione che l'incarnazione di Cristo avesse benedetto la carne e il mondo, e a creare un abisso tra vita materiale e spirituale, strappando così i membri della setta da una vita sociale regolata dalla Chiesa. In una forma più simbolica questa stessa opposizione tra Dio e il mondo si esprimeva nell'odio verso ogni rappresentazione di Cristo e di Dio Padre, simboli dell'incarnazione materiale. E', interessante notare che a ciò si ricollega la più antica eresia nota nell'Europa occidentale. Già Claudio, vescovo di Torino tra l'814 e l'839, aveva ordinato di eliminare in tutte le chiese della diocesi le immagini e le croci (231). Anche il vescovo di Lione Agobardo, morto nell'841 (232), predicava la distruzione delle immagini. Certamente l'origine di quest'eresia è la stessa dell'iconoclastia che infiammò l'impero bizantino nell'VIII secolo (non ne parleremo qui per non ampliare ulteriormente il numero delle eresie prese in considerazione).
Un ruolo importante ebbero i pauliciani, predecessori in linea diretta dei catari; questa tendenza a separare Dio e il mondo, lo spirito e la materia portò i catari a negare la resurrezione della carne. A questo può risalire a sua volta l'avversione dei valdesi per i cimiteri, e la tradizione di seppellire i morti nei terreni abbandonati o nei cortili.
Il principio cataro secondo cui le buone azioni non servirebbero a guadagnare la salvezza ma sono dannose come fonte di vano orgoglio era diretto contro la partecipazione attiva della persona alla vita circostante. Identica funzione avevano la proibizione dell'uso delle armi, dei giuramenti, e di prendere parte ai processi, che erano comuni sia ai catari che ai valdesi. Ad alcune sette catare era vietato qualsiasi contatto con i non catari, salvo che per cercare di convincerli. Ancora più radicali erano le posizioni dei "liberi spiriti" e degli adamiti, i quali negavano la proprietà, la famiglia, lo Stato, tutte le norme morali. I capi "divini" della setta pretendevano apparentemente d'occupare una posizione ancora più elevata di quella del clero cattolico. La loro ideologia rifiutava il principio gerarchico (eccezion fatta per la gerarchia della setta), non solo sulla terra, ma anche nei cieli. E' esattamente questo il senso di alcune loro dichiarazioni acutamente polemiche: che loro erano in tutto uguali a Dio, senza la minima differenza, che potevano compiere gli stessi miracoli compiuti da Cristo, oppure che Cristo aveva raggiunto la condizione "divina" solo sulla croce.
Il disconoscimento del battesimo dei bambini, comune a quasi tutte le sette, parte dal rifiuto di principio d'accettare la Chiesa come comunità mistica. Al suo posto ponevano la propria Chiesa, alla quale si poteva accedere pure con il battesimo, però solo per gli adulti che coscientemente ne accettavano i principi. Una Chiesa che, a differenza di quella cattolica, era con ciò stesso una unanimità cosciente.
Tutte queste proposizioni particolari erano tese a un unico fine: superare l'unione tra Dio e mondo, tra Dio e uomo realizzata nell'incarnazione di Cristo, postulato fondamentale del cristianesimo (almeno nella sua concezione tradizionale). Per far questo c'erano due vie: o negare il mondo o negare Dio.
Le sette gnostico-manichee seguirono la prima strada, consegnando il mondo al potere del dio del male e considerando come unico scopo della vita la liberazione dal carcere della materia (per quelli cui ciò era possibile). Le sette panteiste, al contrario, non solo non rifiutavano il mondo ma proclamavano di volerlo asservire (ancora una volta per gli eletti, sicché gli altri, la gente "bruta", rientrava nella categoria del mondo). Nella loro dottrina si può scorgere la prefigurazione dell'"assoggettamento della natura" che diventerà tanto popolare nei secoli successivi.
Ma il dominio del mondo non si otteneva seguendo il piano di Dio, bensì negando Dio e trasformando i più eletti fra i "liberi spiriti" in altrettanti dei. In campo sociale questa ideologia si è incarnata nelle correnti più estremiste dei taboriti. Infine gli anabattisti tentarono di realizzare una sintesi di entrambe le tendenze. Nella fase "aggressiva" essi predicarono la dominazione degli eletti sul mondo, e questo dominio annullava completamente i tratti cristiani della loro visione del mondo (infatti Münzer scrisse che la sua dottrina era ugualmente valida per il cristiano, il giudeo, il turco e il pagano). Nella fase "pacifica" invece, come è il caso dei fratelli di Boemia, prevalse la fuga dal mondo, la sua condanna e la rottura di ogni rapporto, sia materiale che spirituale (ad esempio il fratello di Boemia Michael Sattler, arrestato nel 1527, disse all'inchiesta che non avrebbe aiutato la sua patria e i cristiani nemmeno se fossero arrivati i turchi).
Il socialismo chiliastico rappresentava parte organica di questa visione del mondo. La distruzione della proprietà privata, della famiglia, dello Stato e di tutta la gerarchia della società del tempo tendeva unicamente a escludere i membri del movimento dalla vita quotidiana ponendoli in una posizione ostile, d'antagonismo verso "il mondo". Anche se questi imperativi occupavano un posto quantitativamente limitato all'interno dell'ideologia comune delle sette eretiche, erano però tanto caratteristici da rappresentare il segno distintivo, ereditario di tutto il movimento nel suo insieme.
Dollinger, già da noi citato, scrive in un'altra opera, per caratterizzare l'atteggiamento delle sette verso la realtà: "Ogni dottrina eretica apparsa nel Medioevo porta in sé un elemento dichiaratamente o nascostamente rivoluzionario. In, altre parole se l'eresia fosse giunta al potere, avrebbe dovuto far piazza pulita dell'ordinamento statale esistente e compiere un rivolgimento politico e sociale. Queste sette gnostiche (come catari e albigesi), che incorsero nei rigori della legislazione medievale contro le eresie e che furono a lungo combattute, erano fatte di socialisti e comunisti. Esse attaccavano il matrimonio, la famiglia e la proprietà; se avessero vinto ne sarebbe risultato uno sconvolgimento generale e la barbarie. E' chiaro a tutti gli studiosi che anche i valdesi, con il loro rifiuto del giuramento e del diritto penale, non potevano trovar posto nella società europea dell'epoca" (233).
Nel momento in cui le idee socialiste si svilupparono all'interno del movimento ereticale, acquistarono dei tratti che non avevano nell'antichità. In quest'epoca il socialismo, da teoria studiata a tavolino qual era, si trasformò in vessillo, in forza trainante di vasti movimenti popolari.
L'antichità aveva conosciuto feroci rivolte popolari sfociate a volte nel crollo dei regimi. Gli strati più poveri della popolazione, una volta preso il potere, uccidevano i ricchi o li espellevano dalla città, dividendone poi le ricchezze. Così avvenne nel 427 a.C. a Corfù, a Samo nel 412 a.C., a Siracusa nel 317. A Sparta nel 206 a.C. il re Nabis spartì fra i suoi partigiani non solo gli averi, ma anche le mogli dei magnati. Tuttavia i movimenti popolari dell'antichità non conoscevano slogan come la comunione dei beni e la comunanza delle donne, e non si scagliavano contro la religione, Questi elementi sono subentrati nel Medioevo (-`).
Anche le stesse dottrine socialiste cambiarono aspetto, assumendo un carattere intollerante, nutrito d'odio, distruttivo.
Nacque l'idea di un'umanità divisa in "eletti" e "condannati" e si incitava a distruggere "gli empi", i "nemici di Cristo", cioè gli avversari del movimento.
L'ideologia socialista inculcò l'idea di un'imminente svolta radicale, della distruzione finale del vecchio mondo e dell'inizio di una nuova era universale. Questa concezione si riallacciava all'idea di "prigione" e di "liberazione" che originariamente - presso i catari - era intesa come prigionia dell'anima nella materia e come liberazione post mortem da questa prigionia, che in seguito - presso amalriciani e "liberi spiriti" - fu intesa come liberazione spirituale attraverso la "divinizzazione" in questo mondo, e infine - presso taboriti e anabattisti - era vista come liberazione materiale dal potere dei "malvagi" e come restaurazione del potere degli "eletti" sui "malvagi".
Da ultimo le idee socialiste in quell'epoca si fusero una visione storico-universale (presa in gran parte da Gioacchino da Fiore). La realizzazione dell'ideale socialista non dipendeva più, come in Platone, dalla decisione di un pio governante, ma era vista piuttosto come il risultato di un processo predeterminato che interessa tutta la storia e che è indipendente dalla volontà dei singoli uomini.
Fu elaborata anche una nuova struttura organizzativa entro la quale si sviluppava l'ideologia socialista cercando anche di metterla in pratica. Erano sette, queste, con una struttura "concentrica" molto caratteristica: una cerchia ristretta, altamente cospirativa, di capi iniziati a tutti i segreti della dottrina, e una cerchia molto più vasta di simpatizzanti solo parzialmente informati, legati alla setta da una dipendenza più che altro emozionale.
Anche le personalità guida con lo svilupparsi del socialismo divennero di un nuovo tipo: il pensatore e il filosofo isolati lasciarono il posto al letterato e organizzatore infaticabile e pieno di energia, allo specialista nella teoria e nella pratica della distruzione. Questa figura strana e contraddittoria comparirà anche in seguito nel corso della storia: un uomo dalla forza inesauribile nel momento del successo che diventa una misera nullità tremebonda, una specie di marionetta afflosciata quando la fortuna si allontana.
Terminando questo capitolo facciamo presente una circostanza interessante e di grande importanza che probabilmente il lettore avrà già osservato: il legame di profonda dipendenza che lega l'ideologia socialista (almeno nella sua accezione medievale) al cristianesimo. Quasi in tutti i movimenti socialisti l'idea di uguaglianza si fondava sull'uguaglianza degli uomini davanti a Dio, sulla loro identica missione nel mondo. Generale era il richiamo alla comunità apostolica di Gerusalemme come a un modello di convivenza fondato sul principio della comunione. Il socialismo è debitore al cristianesimo dell'idea che la storia abbia un senso e un fine, e ancora che il mondo sia immerso nel peccato, che ci sia una fine prossima e un giudizio universale. E' difficile poter spiegare un legame così stretto con il semplice desiderio di appoggiarsi a un'autorità universalmente accettata oppure, come asserisce Engels, con il fatto che la religione era a quel tempo l'unico linguaggio che potesse esprimere delle concezioni storico-universali.
Il fatto che il socialismo abbia mutuato dal cristianesimo alcune delle sue idee fondamentali dimostra che non si tratta di un semplice trasferimento, ma di un'interazione ben più profonda. L'esistenza di alcuni legami di parentela tra cristianesimo e socialismo è dimostrata dal fenomeno dei monasteri, che sembrano incarnare all'interno del cristianesimo l'abolizione della proprietà e del matrimonio come li voleva il socialismo. Sarebbe estremamente importante individuare i tratti che avvicinano cristianesimo e socialismo, e osservare come cambino indirizzo le idee cristiane quando vengono assunte dall'ideologia socialista, finendo poi per trasformarsi nell'esatto contrario delle posizioni cristiane (ad esempio il giudizio di Dio sul mondo reinterpretato come giudizio degli "eletti" sui loro nemici, o la resurrezione dei morti divenuta la "divinizzazione" dei "liberi spiriti"). Una simile analisi riuscirebbe, probabilmente, a chiarire molti aspetti dell'ideologia socialista.